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All’origine dell’attuale crisi finanziaria a cura di Francesco Arcucci, Professore All’inizio degli anni ‘70 un dollaro valeva 4 marchi tedeschi. Poiché il cambio dell’euro...

All’origine dell’attuale crisi finanziaria

francesco arcuccia cura di Francesco Arcucci, Professore

All’inizio degli anni ‘70 un dollaro valeva 4 marchi tedeschi. Poiché il cambio dell’euro è stato fissato nel 1999 a circa due marchi, si può dire che un dollaro quaranta anni fa avrebbe avuto un valore pari a due euro se l’euro fosse esistito.
Attualmente il valore del dollaro è pari a 0,76 euro (che corrisponde al valore dell’euro contro dollaro di circa 1,31 che è il cambio di queste settimane). Ciò significa che il dollaro ha perso valore da 2 euro a 0,76 il che corrisponde ad una minusvalenza del 62%. Anche se l’euro dovesse andare nel corso del 2012 alla parità con il dollaro, la moneta americana avrebbe perduto sempre il 50% del valore che aveva quando è stato abolito il gold exchange standard.
Questa abolizione avvenne poiché nel decennio 1960 la massa di dollari nelle mani dei non residenti e quindi, in base alle regole del gold exchange standard di Bretton Woods, potenzialmente convertibili in oro a carico del Tesoro americano, aveva superato ampiamente il valore dei circa 260.000.000 di once che il Tesoro americano stesso deteneva a Fort Knox e che venivano valutate 35 dollari l’oncia, per un ammontare complessivo di 9,1 miliardi di dollari.
Si era verificato cioè un dollar overhang o dollar glut. Per alcuni anni gli Stati Uniti cercarono di evitare che quel “potenzialmente” si trasformasse in effettive richieste e quindi che questo squilibrio che rendeva problematica la conversione in parola si manifestasse nei fatti.
Il primo modo in cui cercarono di evitare la conversione fu quello di rendere convertibile il dollaro in oro solo se presentato all’incasso da parte delle banche centrali degli altri paesi.
Il secondo modo fu quello di lasciar trapelare che queste richieste di conversione rappresentassero un atto ostile verso gli Stati Uniti e come tale sgradito, con possibilità di ritorsioni.
Di paesi che potevano inimicarsi tranquillamente l’America ce n’erano pochi. Non la Germania, l’Italia e il Giappone, tre nazioni sconfitte in guerra senza condizioni e che dovevano solo alla generosità americana se le loro economie erano state ricostruite nel corso degli anni 1950 e 1960, anche per merito del famoso Piano Marshall. Anche l’Inghilterra non si poteva permettere un atteggiamento ostile. Essa era stata salvata dagli Stati Uniti durante la Seconda Guerra Mondiale, quando si trovava in condizioni spaventose ed era al limite del collasso. Restava la Francia, anch’essa salvata da una disfatta terribile, ma il cui governo si era impermalito per non essere stato trattato dagli alleati angloamericani e sovietici sullo stesso piano. La Francia non era stata invitata a Yalta. Salvata ma un po’ svergognata di fronte agli occhi del mondo, per la dissoluzione del suo esercito che era avvenuta in poco più di 15 giorni, la Francia doveva riacquistare la propria autostima con qualche gesto di insubordinazione e di sfida nei confronti degli Stati Uniti.E quale gesto era migliore di quello di richiamare gli americani all’impegno assunto di convertire il dollaro in oro? Ma non c’era solo questo aspetto. Il consigliere economico del presidente De Gaulle, che si chiamava Jacques Rueff, aveva scritto degli interessanti articoli nei quali si sosteneva che il sistema monetario internazionale di Bretton Woods, che si basava sul gold exchange standard, conteneva una contraddizione che prima o poi sarebbe esplosa. Infatti se il dollaro era scarso poiché la bilancia dei pagamenti americana era in avanzo e quindi vi erano pochi dollari in giro, il sistema monetario internazionale non avrebbe offerto una base operativa adeguata al commercio e alla finanza internazionale (dollar shortage). Se invece la bilancia dei pagamenti americana fosse stata deficitaria -come infatti era avvenuto- e ci fossero stati molti dollari in giro, la quantità andava a scapito della qualità e il dollaro non avrebbe potuto restare moneta convertibile in oro.
Rueff aveva ragione e la Francia, con le sue richieste di conversione dei dollari in oro, lo dimostrò.
Di fronte a tali richieste di conversione, gli americani furono presi dal panico poiché videro che il ritmo di volatilizzazione delle loro riserve auree era tale che in pochi mesi, nonostante l’intervento del pool dell’oro di Londra fra le banche centrali amiche, sarebbero scomparse.
Bisognava agire in fretta e salvare i circa 260 milioni di once di metallo giallo che erano rimasti a Fort Knox. A questo punto vi erano solo due possibilità, ma la prima, quella di aumentare il valore delle riserve auree da 35 dollari l’oncia a un prezzo molto superiore, ad esempio 1000 dollari, fu subito scartata per timore che si verificasse un’accelerazione dell’inflazione che già aveva cominciato a mordere in quegli anni.
L’oro, da che mondo è mondo, è stato sempre considerato un metro di valore e un forte aumento del suo prezzo, necessario per riadeguare il valore delle riserve auree a quello dei dollari nelle mani dei non residenti, pareva destinato ad accentuare un movimento inflazionistico che già stava preoccupando le autorità monetarie dei grandi paesi occidentali. Restava quindi soltanto la eliminazione della possibilità di convertire il dollaro in oro che, con un eufemismo, fu chiamata “chiusura dello sportello aureo”. E ciò avvenne il 15 agosto 1971. Pochi economisti in realtà sottolinearono che si trattava di qualcosa di molto peggiore e cioè di una dichiarazione di insolvenza da parte degli Stati Uniti non dissimile nella sostanza da quella che hanno manifestato nel corso del tempo tanti paesi, sia prima che dopo il fatidico anno 1971. Gli americani cercarono di “indorare la pillola” dicendo che non era una dichiarazione di fallimento poiché gli Stati Uniti erano disposti a ripagare i loro debiti in dollari. Obiezione debole poiché se bastasse questo si potrebbe dire che nessun paese fallisce mai nei confronti dell’estero, perché è sempre in grado di pagare i suoi debiti con la moneta nazionale (il caso della BCE è un caso a parte).Di fatto in quell’anno venne creato un nuovo sistema monetario internazionale, diverso da quello di Bretton Woods (che prevedeva cambi fissi) che per comodità è stato chiamato del “dollar standard” (e con i cambi flessibili). In questo modo quindi i sistemi monetari internazionali che si sono succeduti nel corso del tempo sono stati quello del gold standard, in cui tutte le monete erano convertibili in oro, quello del gold exchange standard in cui tutte le monete erano convertibili a tasso fisso in una moneta (il dollaro) che era l’unica convertibile direttamente in oro e quello del dollar standard che è il sistema monetario internazionale nel quale siamo immersi attualmente, quantunque anch’esso non sia senza gravi pecche e gravi difetti.
Il dollar standard conferisce agli Stati Uniti un privilegio straordinario. Mentre infatti tutti gli altri paesi sono tenuti a pagare i loro debiti con l’estero in una moneta diversa dalla loro, gli Stati Uniti possono, come fossero la banca centrale del mondo, pagare i loro debiti in moneta prodotta o, in altri termini, produrre la moneta nella quale si indebitano.
Questo fatto fa si che, mentre per gli altri paesi esiste un vincolo di bilancia dei pagamenti, esso è assente per gli Stati Uniti e ciò contribuisce a spiegare la straordinaria prosperità americana.Il sistema monetario internazionale, senza supporto aureo, ha manifestato quindi quattro principali difetti: il primo è che ha consentito agli Stati Uniti la persistenza di squilibri nei loro conti con l’estero divenuti ormai intrattabili. Nel caso più favorevole si potrà pensare ad una riduzione del deficit americano, ma non sicuramente ad un surplus di bilancia dei pagamenti, unica condizione per ridurre il debito degli Stati Uniti verso l’estero.Il secondo è che altri paesi e soprattutto Giappone, Cina, Germania e in generale i paesi emergenti hanno sviluppato un’industria di esportazione verso gli Stati Uniti così poderosa che tali paesi sarebbero le prime vittime di un eventuale tentativo di riaggiustamento dei conti con l’estero americani. Non si tratta cioè di un fatto congiunturale per un paese come la Cina avere un avanzo con gli Stati Uniti: vuol dire continuare a crescere e ad assorbire le decine o centinaia di milioni di persone spostandole dall’agricoltura all’industria e ai servizi oppure invece doverle ricacciare nella povertà più assoluta. Il mondo è strutturalmente distorto e ogni tentativo di riequilibrarlo finisce per produrre più danni di quelli che si vogliono curare.Il terzo difetto è che questa enorme massa di denaro che si sposta dagli Stati Uniti verso il resto del mondo e che torna indietro attraverso l’emissione di titoli americani è suscettibile di alimentare delle bolle speculative, la rottura delle quali genera devastanti crolli nel settore finanziario e nel settore immobiliare, proprio quelli a cui abbiamo assistito negli ultimi anni.
Il quarto difetto è che la flessibilità dei cambi si è accompagnata a grandi oscillazioni dei medesimi che hanno creato ostacoli al commercio internazionale e soprattutto hanno determinato cattiva allocazione delle risorse. Per attenuare in parte questi difetti del sistema monetario internazionale è intervenuta negli ultimi 40 anni una sistematica svalutazione del dollaro americano che ha contribuito a riaggiustare in parte la bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti, ma che è stata anche un altro modo per gli Stati Uniti di acquisire risorse all’estero pagandole con il signoraggio, cioè a fronte di nulla.
In altre parole noi viviamo in un regime di fiat money, e cioè di creazione di una moneta senza valore intrinseco emessa dalla Banca Centrale in base ad un semplice atto di volontà sia a livello nazionale sia a livello internazionale e cioè appunto con il dollar standard.Secondo taluni un sistema finanziario in cui universalmente ci si basi sulla fiat money costituisce esso stesso una grande frode. Non poter generare ricchezza senza che vi sia alcun costo connesso con quella creazione è un principio dell’economia. Il mondo è vissuto per 40 anni nell’illusione che invece sia possibile creare ricchezza dal nulla e all’origine vi è stata la chiusura dello sportello aureo. Tutto ciò non poteva non portare ad un’enorme crisi economico-finanziaria, quella che appunto stiamo vivendo. Se si vuole ricreare la stabilità finanziaria occorre ripartire dando una base, un supporto reale alla moneta ritornando direttamente o indirettamente alla convertibilità aurea. Il rialzo del prezzo dell’oro negli ultimi 10 anni probabilmente è un passo in questa direzione. La moneta si deve reggere sulla disciplina della sua creazione nella quale l’oro (quel relitto barbarico snobbato e disprezzato prima da Keynes e poi dai banchieri centrali) svolga un ruolo importante. Ma poiché anche l’oro ha i suoi difetti e in particolare quello di una scarsa elasticità alla variazione del volume degli scambi e quindi rischia di accentuare le oscillazioni del ciclo economico, occorre riconoscere che anche ricorrere alla convertibilità aurea non è la panacea di tutti i mali.In conclusione: dollar standard no, ritorno al gold exchange standard assai problematico e soprattutto non soddisfacente. E allora? Questo è il dilemma in cui si dibatte il sistema monetario internazionale e la ragione per la quale ogni tentativo di riforma della sua architettura è finora fallito.

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