A cura di Roberto Malnati*
Osservando l’andamento del mercato azionario e soprattutto il rendimento pagato ai detentori del debito pubblico, negli ultimi trimestri è parso evidente a tutti che gli Stati Uniti stessero uscendo dalla recessione. L’ipotesi è diventata una “quasi” certezza con la pubblicazione del dato riguardante il deficit di bilancio degli Stati Uniti per l’anno 2013, che è sceso a 680 miliardi di dollari rispetto al trilione di dollari precedente e che secondo il Congressional Budget Office (CBO), si ridurrà a 492 miliardi di dollari nel 2014.
Il governatore della Fed di Atlanta Dennis Lockahrt, dopo che nell’ultima riunione di aprile la banca centrale americana ha tagliato il ritmo di acquisto di Treasury e bond ipotecari sul mercato di altri 10 miliardi di dollari, portando gli acquisti ad un totale di 45 miliardi di dollari, dagli 85 miliardi di dollari iniziali, ha dichiarato che si aspetta una crescita di circa il 3% per il 2014 e che se le stime di crescita saranno confermate e l’occupazione continuerà a migliorare, la Federal Reserve potrebbe terminare il suo programma di acquisto di bond già entro la fine dell’anno e procedere ad un aumento dei tassi di interesse nel 2015, grazie ad un’accelerazione dell’economia americana.
In questo scenario idilliaco gli Stati Uniti hanno praticamente ignorato i dati pubblicati dal Financial Times, ripresi dalle stime dell’International Comparison Program della Banca Mondiale, che indicano che già nel 2014 potrebbe avvenire il sorpasso dell’economia cinese su quella americana. Secondo lo studio, che non veniva aggiornato dal 2005, il risultato sarebbe basato sul costo della vita reale, ovvero sul calcolo del potere d’acquisto.
La Cina diventerebbe così con cinque anni di anticipo rispetto alle previsioni precedenti, la prima potenza economica mondiale. Primato che gli Stati uniti detenevano dal 1872, ossia quando superarono l’impero britannico.
Forte della propria crescita la Cina sta vendendo debito degli Stati Uniti e la Russia, complice la recente crisi Ucraina, sta facendo altrettanto. A parte la FED, chi comprerà tutti i titoli del Tesoro che gli Stati Uniti devono emettere per rimborsare quelli in scadenza?
Non è un caso che il Premier cinese Li Keqiang, durante il discorso di apertura del Forum asiatico di Boao, abbia annunciato la creazione di Asian Infrastructure Investment Bank, ossia la banca sovranazionale pensata da Pechino come arma economica e diplomatica indispensabile per esercitare il ruolo di prossimo leader economico mondiale. «La Cina è pronta per i colloqui preliminari con le parti in causa, speriamo di poter inaugurare la nuova banca entro un breve termine», ha annunciato. Le «parti in causa» sarebbero quelle nazioni asiatiche che finora, per prestiti e investimenti, si sono rivolte all’Asian Development Bank, banca regionale per tradizione governata da un giapponese, così come la Banca Mondiale è tradizionalmente governata da uno statunitense e il Fondo Monetario Internazionale da un europeo. Per Asian Infrastructure Investment Bank sarebbe pronto uno stanziamento iniziale da 50 miliardi di dollari. Dollari che non verranno impiegati per comprare debito americano e che probabilmente verranno prestati ai paesi amici asiatici a tassi vicini allo zero.
Tornando agli Stati Uniti, il Congressional Budget Office (CBO) stima che, lasciando invariate le attuali leggi che regolano le tasse federali e la spesa, il deficit di bilancio per l’anno fiscale 2014 sarà di 492 miliardi di dollari. Rispetto alle dimensioni dell’economia, il disavanzo, pari al 2,8% del prodotto interno lordo (PIL), sarà quasi un terzo in meno rispetto al deficit di 680 miliardi di dollari nell’anno fiscale 2013, che a sua volta era pari al 4,1% del PIL. Questo sarà il quinto anno consecutivo in cui il disavanzo è diminuito, in termini di percentuale del PIL, dal picco del 9,8% nel 2009.
Ma se le leggi attuali non verranno cambiate in fretta, il periodo di contrazione del deficit sarà giunto al termine. Tra il 2015 e il 2024, per i deficit di bilancio annuali si prevede un innalzamento da un minimo di 469 miliardi di dollari nel 2015 a circa 1.000 miliardi di dollari a partire dal 2022, soprattutto a causa dell’invecchiamento della popolazione, dell’aumento dei costi sanitari, dell’ampliamento dei sussidi federali per la salute e dei crescenti pagamenti degli interessi sul debito federale.
Secondo le proiezioni il debito raggiungerebbe il 78% del PIL entro il 2024, considerando che alla fine del 2007, il debito federale era pari a solo il 35% del PIL. Questi dati non tengono conto di eventuali nuove guerre, catastrofi naturali o catastrofi finanziarie, come un improvviso aumento dei tassi di interessi sul debito.
Il debito elevato e crescente in prospettiva non può che avere conseguenze negative. La spesa federale per pagamenti di interessi aumenterebbe considerevolmente nel momento in cui i tassi di interesse ritorneranno inevitabilmente verso i livelli medi storici. La ricaduta di questo aumento ricadrebbe sul costo degli investimenti da parte delle imprese e di altri soggetti. Con meno capitale disponibile diminuiranno produttività e salari e i legislatori avranno meno flessibilità rispetto a quella impiegata in termini di politiche fiscali e di spesa per rispondere alle sfide inaspettate. Infine, l’elevato debito aumenterà il rischio di una crisi del dollaro sino ad ora utilizzato come moneta di riferimento negli scambi internazionali.
Dal 2008, la Federal Reserve ha inondato l’economia con più di 3.000 miliardi di dollari in contanti a buon mercato nel tentativo di ripristinare la crescita e il risultato è stato, osservando il grafico pubblicato dalla Federal Reserve Bank of New York, ad eccezione dei debiti contratti dagli studenti, molto positivo. La percentuale di mancati pagamenti oltre i 90 giorni si è notevolmente ridotta.
Purtroppo si è ridotta solo per le carte di credito, per effetto del rifinanziamento dei debiti con altre carte di credito, per le auto grazie a un accentuato ricorso al leasing (il cui mancato pagamento non produce una azione legale, ma l’automatico ritorno del bene alla società) e per i mutui per effetto di una contrazione significativa degli stessi.
Per gli studenti il Governo sta studiando soluzioni alternative, dato che l’ammontare del debito ha superato i 1.100 miliardi di dollari, ossia circa 25.000 dollari a studente, diventando per dimensione la seconda forma di debito più alta del paese. Soluzioni indubbiamente favorevoli agli studenti, ma che hanno come effetto quello di aumentare drasticamente il debito complessivo dello Stato. Per evitare mancati pagamenti delle rate e fenomeni di insolvenza vengono utilizzati nuovi programmi istituiti dall’US Department of Education che permettono di ridurre drasticamente i pagamenti mensili. Tali programmi sono strutturati semplicemente sul rapporto tra debito e reddito del debitore, tale per cui le somme e le rate da restituire si riducono anche del 50%. Si calcola ad esempio che un impiegato che negli Stati Uniti, dopo la conclusione degli studi, percependo un salario di 100.000 dollari annui, possa ridurre la rata da 1096 dollari a circa 570 dollari. Questa mossa ovviamente ha dei costi, stimati secondo gli analisti in almeno 14 miliardi di dollari l’anno.
Storicamente, la crescita indiscriminata del debito, termina e si conclude con la cancellazione dei titoli di debito, la distruzione delle valute a corso forzoso e con la rivalutazione del denaro reale, l’oro e l’argento tanto per fare un esempio.
Ma questa volta potrebbe andare diversamente. I bond americani non hanno clausole di cross-default, ossia quel particolare meccanismo giuridico per il quale un default su una classe di obbligazioni si estende a tutte le classi di obbligazioni di quell’emittente (se io ho un debito per l’acquisto di un automobile e non pago la rata, il mio default sul debito dell’automobile non si estende al debito che ho per il mutuo).
La Federal Reserve potrebbe trovare una soluzione tecnica per elidere il debito che ha tolto dal mercato e che oggi supera abbondantemente la metà del debito circolante complessivo, convertendolo in una nuova emissione perpetual dedicata a tasso zero. Tale emissione non sarebbe conveniente per gli altri detentori del debito e potrebbe venire in seguito “estinta”.
E il dollaro crollerebbe in questa circostanza? Con ogni probabilità no. Con la disponibilità di titoli di debito ridotta della metà e con il dollaro usato come garanzia per la maggioranza dei contratti derivati compresi quelli sul VIX (ossia l’unica protezione rimasta sicuramente anticorrelata ad un crash di mercato) il dollaro, in mancanza di alternative, continuerà a rimanere il Re.
“il Re è morto, lunga vita al Re”
*Roberto Malnati, Direttore e Fund Manager di Global Opportunity Investments SA, Lugano.
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