Riflessioni sugli effetti collaterali dell’assistenza giudiziaria e dell’assicurazione di protezione giuridica.
a cura di Stefano Fornara*
Nello scorso numero di FourTicino ho affrontato il tema della nuova esigenza procedurale consistente nel tentativo di conciliazione obbligatorio in ambito civile.
Vorrei oggi, e per le prossime due uscite di questo trimestrale, estendere la mia riflessione ad alcuni aspetti che, se l’apparato giudiziario fosse composto di carne e ossa, rappresenterebbero dei nervi scoperti.
Premetto che, mentre scrivo queste righe, il mio pensiero è principalmente rivolto ad una clientela composta da persone fisiche e piccole e medie imprese. I mandanti istituzionali e le grosse imprese hanno infatti una sensibilità diversa nei confronti dei temi che andrò a trattare oggi e nei miei prossimi contributi, benché alcuni di essi costituiscano anche per questo genere di soggetti un motivo di riflessione o di considerazione.
All’assunzione del mandato, l’avvocato deve affrontare con il proprio cliente, tra gli altri, l’aspetto dei costi. Dal momento che, notoriamente, una procedura giudiziaria genera importanti oneri, vi è la possibilità, nella misura in cui il caso non sia privo di speranza e il mandante non disponga dei mezzi finanziari sufficienti, di postulare l’ammissione all’assistenza giudiziaria con gratuito patrocinio, sempre che i costi non possano essere assunti da parte di un’assicurazione di protezione giuridica.
L’assistenza giudiziaria rappresenta certamente uno strumento essenziale per garantire l’accesso alla giustizia, così come le assicurazioni di protezione giuridica sono senz’altro un buon mezzo per coprire il rischio finanziario connesso ad una procedura giudiziaria. L’una e l’altra, tuttavia, possono rivelarsi delle armi a doppio taglio e, in molti casi, concorrono a generare o ad alimentare comportamenti processuali poco opportuni e finanche abusivi. Innanzitutto, una parte che non ha alcun rischio finanziario nell’ambito di un contenzioso è spesso poco incline a trovare una soluzione conciliativa: è infatti immune nei confronti del più importante mezzo di dissuasione, dal momento che i costi di una procedura li assume un soggetto terzo (Stato o assicurazione che sia). Ciò comporta un maggiore onere per l’Ente pubblico (nel caso dell’assistenza giudiziaria) e può giungere a mettere in difficoltà una controparte che, dal canto suo, appartenendo a quella fascia di clientela riconducibile al “ceto medio”, deve assumersi tutti i propri oneri processuali essendo o venendo considerata in grado di pagarli e non potendo contare sulla copertura da parte di un’assicurazione.
Il fatto che, in regime di assistenza giudiziaria e gratuito patrocinio, lo Stato formalmente si limiti ad anticipare i costi di patrocinio, riservandosi di ricuperarli presso la parte assistita nel caso in cui questa pervenga a miglior fortuna finanziaria, è nella realtà poco rilevante: infatti, nella grande maggioranza dei casi, chi è ammesso al beneficio dell’assistenza giudiziaria e del gratuito patrocinio ben difficilmente riesce, nei 10 anni successivi (dopo i quali la pretesa dello Stato si prescrive giusta l’art. 123 cpv. 2 CPC), a beneficiare di una modifica tale delle proprie condizioni finanziarie da permettere l’effettivo recupero dei costi da parte dello Stato.
Si consideri poi che è estremamente difficile, per l’Autorità giudicante (in particolare di prima istanza) effettuare a priori una valutazione della bontà delle tesi di chi chiede l’assistenza giudiziaria – il cosiddetto fumus boni iuris: nel dubbio, l’istanza va accolta, pena il formale diniego dell’accesso alla giustizia, evidentemente lesivo dei diritti fondamentali.
Solamente in casi chiari, in cui il Tribunale può senz’altro concludere che una persona provvista dei mezzi necessari rinuncerebbe alla causa in quanto manifestamente perdente, si giustifica il rifiuto a priori dell’assistenza giudiziaria. Ciò genera dunque un notevole dispendio per le casse dello Stato, a carico di tutti i contribuenti. Sebbene sia possibile revocare in ogni stadio di causa l’assistenza giudiziaria ed il gratuito patrocinio, ciò avviene concretamente solo in caso di abusi manifesti da parte di chi ne beneficia o in altre situazioni straordinarie. Un altro aspetto pungente legato all’istituto dell’assistenza giudiziaria è quello per cui l’Autorità giudicante tende a valutare in modo molto restrittivo la congruità delle prestazioni esposte dal legale della parte che ne beneficia. Sebbene ciò sia di principio comprensibile, il risultato è quello di ribaltare sul patrocinatore le conseguenze di un eventuale comportamento processuale irragionevole del patrocinato, che ha generato oneri e dispendio supplementare. È pur vero che nessun legale è obbligato ad accettare i Diktat del proprio cliente, d’altro canto non è nemmeno sempre possibile abbandonare il mandato o discostarsi dalle indicazioni ricevute, in particolare alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza relativa alla responsabilità civile dell’avvocato, sempre più severa.
Infine, sia l’assistenza giudiziaria che la presenza di una copertura assicurativa di protezione giuridica concorrono a sovraccaricare gli organi statali, e di conseguenza a rallentare l’intero apparato giudiziario: molte cause si protraggono o vengono presentate perché una delle due parti non vuole accettare una soluzione transattiva, benché ragionevole, ben sapendo che questa decisione non avrà l’effetto di “costarle di più”.
Quali le possibili soluzioni all’insoddisfacente ed inefficiente situazione sopra descritta? Le maggiori possibilità di porre un limite agli abusi sono nelle mani delle assicurazioni, che hanno pure tutto l’interesse ad evitare procedure inutilmente dispendiose: sempre più Compagnie assicurative indicano un tetto massimo delle spese legali che sono disposte ad assumere per determinati casi, o escludono certi ambiti dalla copertura. Ciò vale in special modo per quelle procedure particolarmente sensibili, nelle quali le parti, per vari motivi, tendono a perdere di vista l’aspetto razionale. Lo Stato, dal momento che interviene sulla base di una Legge e non di un contratto di diritto privato, è più limitato nella propria capacità di mettere un tetto alle spese legate all’assistenza giudiziaria e al gratuito patrocinio.
Molti magistrati assumono dunque un atteggiamento rigoroso e giustamente fermo verso le parti che beneficiano dell’assistenza giudiziaria, spingendo con determinazione verso soluzioni di compromesso nel caso di procedimenti civili, e strutturando in modo efficiente e più rapido possibile l’inchiesta in ambito penale.
Andrebbero tuttavia sanzionati maggiormente gli abusi processuali di chi crede di non avere nulla da perdere, ad esempio mediante un’applicazione più coraggiosa del nuovo Codice di procedura civile, il quale prevede dei correttivi alle situazioni sopra descritte, ad esempio all’art. 128 cpv. 3 CPC, secondo cui “in caso di malafede o temerarietà processuali, la parte e il suo patrocinatore possono essere puniti con la multa disciplinare fino a 2000 franchi e, in caso di recidiva, fino a 5000 franchi”: insomma andando a colpire proprio nel borsellino chi è troppo convinto che, quando pagano gli altri, tutto si possa fare.
*Stefano Fornara: Avvocato e notaio, Studio legale e notarile Respini Jelmini Beretta Piccoli & Fornara, Lugano.
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